Sumo

Il sumo è un combattimento tipico del Giappone e ha origini antichissime. Inizialmente era praticato come rito della religione Shinto, tanto che in alcuni templi esistono delle rappresentazioni nelle quali un lottatore “combatte” con un’entità spirituale e gli dèi venivano invocati affinché concedessero abbondanti raccolti. Le tracce di questa religiosità si possono ritrovare nella copertura del ring, simile a quella di un santuario, e nell’usanza di gettare sale a terra per purificare il ring. All’origine il sumo, inteso come competizione, era praticato da lottatori (molto probabilmente samurai o ronin) come sport di intrattenimento, per avere dei guadagni addizionali.Nell’ottavo secolo il sumo fu introdotto nelle cerimonie della Corte Imperiale, per cui veniva organizzato un importante festival ogni anno. Nello stesso periodo, le regole di lotta furono “affinate” eliminando colpi come calci e pugni. Con gli anni a venire, a causa dei minori fondi a disposizione, questi tornei persero la loro importanza fino a quando, nel 16° secolo, il sumo era praticato come “combattimento da strada”, con delle rappresentazioni aperte al pubblico. Purtroppo queste rappresentazioni portavano non poco disordine nelle città, e vennero presto messe al bando ad Edo (odierna Tokyo), anche se a Kyoto ed Osaka le rappresentazioni continuavano senza problemi.Dopo numerosi anni, Edo tornò ad essere teatro delle lotte di sumo con alcune modifiche, tra le quali il ring, che venne tracciato come un cerchio al di fuori del quale doveva rimanere il pubblico.Intorno al 1800 i regolamenti vennero rielaborati, così come le cerimonie, indirizzandosi così a quello che diventerà poi il sumo moderno.Con le prime aperture all’occidente, tra il 1800 ed il 1900, il sumo fu declassato a causa dell’occidentalizzazione, anche se riacquistò ben presto la sua importanza in seguito a successive politiche nazionaliste fino a quando fu ufficializzata, nel 1889, l’Associazione Sumo di Tokyo. Oggi è considerato un’arte marziale moderna ed è lo sport simbolo del Giappone, praticato anche da atleti occidentali (anche se il Giappone rimane l’unico paese nel quale viene praticato a livello professionale). Il ring (dohyo) è formato da un cerchio di 4,55 metri di diametro su una piattaforma di creta e sabbia, entro il quale combattono atleti (rikishi) di dimensioni imponenti, che indossano un perizoma di seta e che si posizionano dietro due linee bianche tracciate a terra. L’accesso al ring non è permesso alle donne, considerate “impure”. L’arbitro ha invece un ventaglio che simbolizza la sua autorità ed un pugnale che ricorda la vecchia tradizione per cui se si fosse sbagliato nel giudicare un atleta si sarebbe suicidato. Prima del combattimento gli atleti, che seguono una particolare dieta per raggiungere il loro peso ed allo stesso tempo rimanere agili e forti, battono con forza i piedi sul ring e partecipano ad un rituale di purificazione del terreno sul quale si troveranno a lottare. Questa ritualità è il chiaro richiamo alla religione Shinto ed alle “danze” che nell’antichità erano praticate nei templi dai lottatori.  In seguito, gli atleti dovranno cercare di far toccare il terreno all’avversario con una parte del corpo diversa dalla pianta dei piedi, oppure buttarlo fuori dal ring. Dopo numerose vittorie, i lottatori di sumo possono arrivare al grado di Yokozuna, ovvero “grande maestro”: è il titolo in assoluto più alto che può essere raggiunto da un lottatore. Gli atleti di sumo si attengono a precise regole comportamentali e conducono una vita molto riservata in abitazioni comuni, dove sono anche seguiti nella dieta. Spesso gli è anche assegnato un nome da combattente, che può cambiare nel corso degli anni, dal proprio allenatore. Sono trattati con grande rispetto dalla popolazione giapponese. Per informazioni sui tornei: Japan Sumo Association (Nihon Sumo Kyokai).



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