La metafora basilare dell’aikido

Molti discettano se l’aikido sia un’arte o eventualmente a quale forma di manifestazione umana appartenga. Da qualcuno sentiamo dire che è cultura tradizionale giapponese, senza ulteriori aggiunte; altri ribadiscono che è un’arte marziale nel senso precipuo che non è diventata uno sport; qualcun altro parla di zen in movimento ed altri ancora dicono che con lo zen non ha nulla a che fare e che l’illuminazione di Osensei era una “supposta” illuminazione.
Il dibattito è ben più articolato di quanto ho voluto ricordare a dimostrazione che, come tutte le cose affascinanti, l’aikido è tipico oggetto di proiezioni. Ognuno di noi dice di se, prima ancora di presumere di parlare di qualcosa e a tale forca caudina si comincia a sfuggire, solo a partire dal riconoscimento del proprio mondo interiore. Distinguendo innanzitutto tra mondo interno e mondo esterno (come invitava a fare proprio Ueshiba, affermando che la vera vittoria è su noi stessi), possiamo poi avventurarci nel mondo delle opinioni e della ricerca, necessaria, della nostra individualità ovvero l’arte di divenire ciò che si è (Nietsche).
Sembra che il cammino dell’aikido, più di altre cose, metta a nudo le difficoltà ad essere (dasein) e la necessità assoluta di una coscienza. Ma di quale aikido parliamo?
Se è vero che ad ogni affermazione corrisponde un contrario, come sostiene Popper, può essere altrettanto vero che la pratica dell’aikido conduca esattamente nel vortice dell’ottundimento e agli antipodi di quella consapevolezza, che sembrerebbe postulare e voler contribuire a creare.
Il mezzo buono nelle mani di un uomo cattivo diventa cattivo, dice il Tao Te Ching e, al contrario, il mezzo cattivo nelle mani dell’uomo buono diventa buono.
Quest’ultima ipotesi sembra assomigliare in qualche modo all’itinerario di Osensei, che da gesti bellici perviene ad espressioni di preghiera.
A sentir dire, fin da ragazzo aveva intelligenza spiccata, propensione per il mondo spirituale, amore per la natura e, tra l’altro, una smodata volontà di esser forte.
La singolare alchimia di queste ed altre propensioni, nel percorso di una vita, ci hanno dato il “prodotto finito” ovvero l’aikido, sul quale però, legittimamente, abbiamo le opinioni più disparate.
E’ evidente che Morihei Ueshiba non è nato Osensei e quando anche è diventato un grande maestro, le cose che manifestava si sono nel tempo modificate, forse evolute.
Si sente dire che l’aikido d’anteguerra era molto diverso da quello postbellico. Un contrasto insanabile o solo un’evoluzione di forme? Un giovane può essere avvezzo a praticare nel modo dello Ueshiba più anziano, ammesso che ci si sia messi d’accordo su cosa sia l’aikido? E, mi chiedo, se l’oggetto (aikido) sia effettivamente distinguibile dal soggetto che l’ha posto in essere.
Insomma c’è un’aikido al di là di Ueshiba? Anche Osensei ha avuto il dubbio di no, ma probabilmente era un peculiare stato d’animo, pensando ai suoi allievi che di fatto non lo seguivano, perseguendo fini propri, e che espresse ad uno studente, il quale affermava d’esser venuto proprio per imparare il suo aikido.
Chi si metta a consultare i numerosi doka del Maestro, non può non constatare una quasi totalità di espressioni psicologiche e spirituali nonché prettamente religiose, al punto che qualcuno che non conosca l’aikido praticato, farebbe veramente fatica a immaginarselo.

Molti maestri contemporanei dei doka non sanno che farsene, anzi in qualche caso se ne fanno beffe. Non pensano minimamente che l’aikido faccia persone migliori e sono più o meno consciamente impregnati di quell’Hagakure, che esprime cose interessanti sull’animo umano, ma finisce con l’essere uno strumento che non crea uomini liberi, solo soldati pronti ad adempiere qualsiasi ordine, servi della gerarchia e dipendenti psicologicamente. Tutto ciò che è unilaterale ed integralistico, può esser solo distruttivo, come ci insegnano le singolari concordanze tra kamikaze e terroristi islamici.

Ueshiba è certamente passato per l’Hagakure, ma altrettanto sicuramente è andato oltre.
Trova nel Bu, (lo spirito marziale) un mezzo per realizzare la sua vera vocazione, che è spirituale, allo stesso modo in cui Gustav Jung, scienziato, subiva per scherno la definizione di mistico.
Perviene al vertice della maestria marziale (l’apparente incuranza di se stessi) e scopre che tutto ciò gli serve per un cammino noetico. Grazie alla marzialità, si esprime al massimo nel “qui ed ora” e constata che la sua intuizione non solo previene i colpi, ma si relaziona alle verità più profonde, quelle per le quali persino la nostra stessa vita non è importante (e men che mai lo sono i capricciosi voleri di un signorotto, a cui l’Hagakure vorrebbe che si obbedisse).
La verità, che è quella profonda, quella esoterica, è l’altro richiamo essenziale di Osensei, il quale ammonisce a guardare in trasparenza la società e i rapporti tra gli uomini, a non impregnarsene troppo. La politica non è certamente il luogo dove si celebra la verità e se una verità vi può esser constatata, non v’è dubbio che è la peggiore. Non voglio con questo criminalizzare esclusivamente la politica, solo sottolinearne la distanza incolmabile (in questo momento storico più che mai) dai valori profondi.
Se conoscere è amare (anche per Ueshiba), questo implica paradossalmente una certa distanza, affinché io non venga contenuto e divenga inconsapevole della realtà e di ciò che amo. Pronto a farmi da parte e a cercare contiguità solo con Dio, se la società si pone all’antitesi della verità.
Un amore che consegue alla consapevolezza, come una inevitabile risultante e che pone quindi saggezza e verità al primo posto. Se a questi due valori aggiungiamo la bellezza (la splendida armonia estetica dell’aikido), abbiamo compendiato tutti i valori dell’anima, proprio dell’anima occidentale, ma a questo livello, non è più questione di culture e tradizioni, che vanno necessariamente trascese.
Solo questo consente all’aikido di rivolgersi a tutti e chi, nella sua pratica e nei suoi vissuti collettivi, calpesta i valori che rendono l’uomo più consapevole, saggio e veritiero, oltraggia duramente proprio l’arte di Osensei, questo meraviglioso prodotto dell’anima mundi.
Possiamo, in omaggio all’aikido, non porci il compito di annientare (marzialmente) chi offende l’arte che così tanto amiamo, ma per amore dell’aikido, ci corre l’obbligo di testimoniare il vero, di non colludere con la falsità.
Il vero maestro d’aikido deve essere il portatore di questi valori e non deve ricercare il successo, se non col carisma, che dalla pratica di quei medesimi valori spontaneamente consegue.

Avv. Angelo Armano



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