L’importanza del Maestro nelle difficoltà del DO

A 22 anni la vita ancora riserva molte sorprese sulla strada. Una di queste, per me, è stata incontrare il Maestro Luigi Branno. No, non ho intenzione di parlare delle sue qualità, per altro difficilmente negabili. Ho intenzione di fare una breve ma importante riflessione personale su quello che un arte marziale instilla nei cuori ma soprattutto nelle menti aperte di chi la pratica, siano essi allievi o maestri. Sembrerà strano ma la cosa nasce da un film, di cui forse si è parlato troppo e per il quale la cara Hollywood ha scomodato parole grandi delle quali cito la più importante: Bushido; un film che, nel suo essere spettacolo per masse, porta con se un barlume di filosofia. Quanto è importante la via che intraprendiamo? Ma soprattutto, quanto è importante chi ci guida? È evidente, e se ne discuteva anche questa sera con il Maestro, durante un breve incontro, che al giorno d’oggi la vita del Dojo non può essere intrapresa e il seguire “la via” si fa difficoltoso; nella nostra quotidianità il tempo è tiranno, siamo frenetici. Nella notte non ci alziamo perché chiamati dal Maestro per una spiegazione, per un allenamento, bensì spinti dalla sete o dallo stress che non ci fa dormire. Ma fermiamoci un momento (sempre se ci riusciamo). Che cosa vediamo attorno? Sì, è davvero difficile sostare a guardare i petali di un fiore di ciliegio (albero sacro), alla ricerca del bocciolo perfetto. Probabilmente è considerato inutile. Ma siamo sicuri che un “buon” maestro non ci possa insegnare di più guardando un fiore, ricercando la semplicità e la  linearità, piuttosto che farci passare ore ed ore rispiegando le stesse tecniche che iniziano e finiscono la loro sterile esistenza nel momento in cui vengono eseguite? Tecniche che vengono chiuse in una camera stagna della mente ogni volta che varchiamo la soglia della palestra per tornare a casa? Facciamo un piccolo ragionamento. Nel Bushido, sebbene io non sia uno profondo studioso della Via del Guerriero, tutto è ricerca di linearità, di equilibrio. Un equilibrio che surclassa la mente, che fa diventare il pensiero un tutt’uno con il corpo. Ora, nel mio piccolo, quella ricerca di linearità, di semplicità, sento di averla ritrovata nell’Aikido. Non è più uno sterile nascere, vivere e morire di atti fisici. Diventa una via che può essere riproposta ogni giorno nelle esperienze più comuni. Il Bushido indicava come caratteristiche fondamentali del Samurai la magnanimità verso il prossimo (Jin), la saggezza (Chi) ed il valore (Yu). Quanti di questi aspetti, basilari in una società perdurata più di sette secoli, sono oggi completamente dimenticati nel quotidiano? Ecco a cosa serve un buon maestro al giorno d’oggi, sia esso fisico (il Maestro del nostro centro) o filosofico. Nel nostro DO giornaliero facciamo fatica ad orientarci. La possibilità di fare scelte sbagliate incorre in ogni istante… e qui si innesta l’Aikido. Già nel suo significato è un monito ed una guida. La necessità di seguire una “via per raggiungere un equilibrio in armonia”, a modesto parere di chi vi scrive, non è altro che la prorompente necessità (in questo caso nata dal Grande Maestro Ueshiba) di riaffermare l’arte della linearità che un tempo regnava nel Bushido. Molti degli aspetti trattati e sviluppati nell’Aikido sono simili a quelli della Via del Guerriero. A partire dalla liberazione della mente dai problemi quotidiani. Lo sforzo di far rivivere la quotidianità del Samurai, ma senza imporre le stesse ferree regole, rivive nell’Aikido a distanza di decenni dalla caduta del rapporto guerriero-imperatore, inteso come stile di vita dedito al servizio. Ed in questo l’Aikido è sempre lì, a ricordarci che tutto è partito dalla necessità di evitare atteggiamenti e abitudini sbagliate che portano squilibrio in noi stessi, prima, e nella società nella quale ci proiettiamo, poi. Se un buon Maestro, quindi, ci segue, non ci insegna LA via, ma UNA via con la quale siamo in equilibrio (come può essere similmente un maestro di pittura, di vita, di danza…), egli riempie se stesso della personalità dell’allievo, non fermandosi al semplice indottrinamento ma imparando a sua volta come rendere più dritte certe curve a gomito che incorrono anche nel suo DO. Per rivelarsi via via più maestro che insegnante; più saggio che sapiente; più “Samurai” al servizio dell’allievo.

di Emanuele Lonardelli



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